Xania si lasciò portare dalla presa ai fianchi di John non appena i tremori si furono calmati e la vista le si fosse rimessa un minimo in pari con la luce che filtrava tra le foglie degli alberi. Tornare eretta le era costata fatica, ma in suo soccorso era arrivato anche Matthew, che mentre lei nascondeva la faccia nel petto di John le si era accovacciato vicino, le aveva tolto i capelli dal viso e con un gesto delicato ma deciso della mano le aveva afferrato la mascella alla base, accarezzato una guancia col pollice e stabilito un contatto netto coi suoi occhi socchiusi: “Xania”, le aveva detto “mi vedi? Se mi vedi guardami, un momento, solo un momento”. E lei l’aveva guardato attraverso le lacrime che avevano iniziato a scorrerle lungo le guance come cera che, sciolta da un fuoco improvviso incendiatosi in lei, stesse fuoriuscendo senza tregua dai suoi occhi. Lo vedeva sì, immerso in un mare di cera liquefatta, trasparente come acqua di sorgente, calda come bile, che le scendeva fino alle labbra, oltre gli angoli della bocca, fin dentro le gengive e giù, sul collo, nella gola, sul petto nudo di John, tra le mani di Matthew. Cercò di parlare ma non ci riuscì. “Shhh”, le disse lui: “va tutto bene, ti vedo anch’io”, e iniziò a raccogliere le lacrime dai suoi occhi con entrambi i pollici, mentre John taceva e concentrava il suo silenzio sul calore delle mani che le teneva a cucchiaio sul ventre. Non lo vedeva, in volto, ora, ora era come agganciata allo sguardo di Matthew. “Ascoltami”, le disse: “non serve che mi rispondi, ti dico io cosa faremo ora, e John sarà d’accordo con me perché sai che non può essere altrimenti: arriviamo al furgoncino e ti ci sdrai e cerchi di riposare, non hai nulla da temere qui ricordalo bene, ma se vuoi John rimane nel furgone con te finché non ti addormenti, perché dormirai bella stella, finché non sarai stanca di dormire, mi segui? Poi ti sveglierai a casa, casa nostra, mia e di John, e anche tua. Non hai nulla di cui preoccuparti, la noce di cocco che vi appartiene la raccolgo io, guido io, vi porto io, tu reggiti a John e concentrati soltanto a raggiungere il sedile posteriore del furgoncino, ora, dove riposerai finché non sarai stanca di riposare, va bene?”
Andava più che bene, andava tutto bene, non aveva nulla da temere: strinse una mano di Matthew mentre ancora le stava a ridosso delle lacrime, immersa nelle lacrime, annuì e ne sfiorò il palmo con le labbra; avrebbe voluto baciarla ma non ne aveva la forza, si sentiva come ubriaca, ma tanto, non più padrona del proprio corpo, stordita, debole, devertebrata dove poco prima correva una tensione insostenibile, fino ai denti, alla mascella, alla punta della lingua, ben oltre la sbornia delle sbornie, colpita da un fulmine partitole dal plesso solare, forse dai piedi, forse da ovunque; le gambe e le braccia? Dovevano ancora tornare, non le sentiva, nemmeno formicolare. “Matt”, bisbigliò. “Sì Xania, sono qui” e le spostò altri capelli appiccicati come ragnatele zuppe alla sua pelle, fin dietro le orecchie. “John”, riuscì a dire anche. “Stellina”, le rispose lui e risalì con una mano il suo braccio, lo strofinò piano, ancora e ancora, fino a scaldarlo un po’ nel tepore del suo palmo, per poi concentrarsi sulle gambe, raccogliendole entrambe, afferrandole sotto, dietro le ginocchia e portandole a sé per poterle massaggiare con un gesto fluido, dalle caviglie alle anche, dalle anche alle caviglie, lentamente, molto lentamente, senza premere, quasi senza toccare, solo a sfiorarle.
“La porto in braccio”, disse nel frattempo all’amico.
“No John, ascoltami, falla camminare, solo un po’ ma falla camminare ora: a piedi scalzi, occhi chiusi se non riesce ad aprirli, ma presa a terra, chiaro? Non ha la circolazione negli arti, vedi? Cerca di farla alzare, non subito, tra un po’, appena ti senti pronto tu, cingila forte, e arriva, arrivate al furgoncino… Io vi raggiungo. Se preferisci ti aiuto, ma so che puoi farcela, Xania è una piuma… E dobbiamo portarla in un nido adatto a lei ora, il prima possibile, ha bisogno di cure.”
“Matt?”, un sussurro.
“Xania, lo so, ti sto sul cazzo adesso, sembro vostro padre, ma…”
“No.”
“Xania, ascoltami, è per il vostro bene, tuo e del bambino…”
“No… Non…”
“Xania…”
“Sembri. Mio. Padre. Non… Io. Matt. John…”
“Shhh”, e le baciò la fronte: il sudore si stava asciugando, le lacrime anche, e lei iniziava a scottare come il fuoco che le era esploso dentro. “Andiamo, Matt. Grazie amico. Ti aspettiamo alla guida. Sei più di un padre per me lo sai, fratello. Puoi cantare tutte le cazzate che vuoi mentre guidi, compare. Cerca solo di non svegliarla se riesce ad addormentarsi per favore.”
“Canterò tutte le ninnenanne che serviranno, amico. Non riesco a pensare di rivederla star male, mi son sentito affogare con lei.”
“Anch’io, amico, anch’io…”
“Siamo in due allora, e lei è la tua perla. Rimettiamola in una conchiglia, amico mio. Tornerà a brillare vedrai. Ora ha bruciato, una fiamma rapida e intensa, deve rinascere con calma.”
“Matt…”
“Sì?”
“Non ti innamorare anche tu di lei, per favore…”
“Troppo tardi, amico. Ma non temere. Sai che sei il mio unico grande amore, bestia feroce.”
“Lo so, cagna in calore. Fratelli senza macchia e senza paura.”
“Parla per te, maiale, io la paura ce l’ho, ma faccio finta di no.”
“Matt…”, un altro sussurro. Xania a occhi chiusi e con la sua mano nel pugno blando.
“Sono qui, Xania”.
“Matt… Io. Io… Anche. Gra. Zie. Ma… tt.”
E un bacio lieve… Sul palmo della sua mano: smack. Per poi alzarsi, insieme, assieme, tutti e tre, Xania ben aggrappata a John, tenuta, coperta, retta da John, Matthew ad accompagnare i movimenti di entrambi con le braccia, a flettere le ginocchia assieme a loro, a ritrovare la posizione eretta con loro. John le aveva tolto le scarpe nel frattempo.
Dunque Xania si lasciò portare dalla presa ai fianchi di John fino a raggiungere il furgone, mentre Matthew raccoglieva le loro cose, il cibo, le maglie, le metà delle loro noci di cocco, le sue scarpe. Camminava a occhi chiusi, totalmente riversa su John. La sbronza delle sbronze sarebbe stata una passeggiata al confronto: questo era come camminare sospesa nell’aria, nel vuoto, nel buio, con una vaga luce rossa stretta, appiccicata alle palpebre, l’odore confortante di John nelle narici, piccole, infinitesimali, dolorose scosse elettriche alle giunture, la testa assurdamente pesante, i piedi in fiamme eppure gelidi, un tutt’uno con la terra a ogni passo, eppure assenti, pesanti eppure assenti, ancorati eppure assenti, sospesi, nel vuoto, nel buio, appesi, a John. Fino al sonno, il sonno nero, pieno, elettrico, cupo, silenzio, vuoto vero, nulla, niente, assoluto nero, salvifico.